CONTESTO

Io sono una forza del passato/
mi aggiro più moderno d’ogni moderno a cercare fratelli che non sono più.

Pier Paolo Pasolini

Matera Capitale Europea della Cultura 2019, Calitri capitale dello Sponzfest 2013-2019

 

Diversamente dagli slogan di una manifestazione ideologica, in questo periplo piangente ognuno potrà scoprire strada facendo quali siano i “doveri della vita” e se e come rialzarsi. Ognuno potrà altresì riscoprire sotto un’altra luce le Terre interne dell’appennino calabro-campano-lucano attraversandole a piedi, incontrando le genti dei piccoli paesi. Ognuno potrà partecipare al “treno” comune, ovvero il canto poetico della lamentazione che per secoli è stato una forma di poesia popolare doppiamente subalterna (perché di contadini di sesso femminile), tenuta in spregio dalle classi dominanti e dalla Chiesa. Questa particolare pratica poetica è particolarmente interessante perché capovolge i valori estetici a cui siamo abituati. Essa si sviluppa su degli “stereotipi”, ovvero moduli che si ripetono e che servono a tessere quel che De Martino definisce il “discorso protetto”, un canto cioè in cui non c’è il rischio di smarrirsi, che mette in misura (melodica, metrica e gestuale) lo smisurato della crisi.

 

L’elezione di Matera come Capitale Europea della Cultura 2019 è emblematica del cambiamento di sguardo verso le parti subalterne del Paese, storicamente più depresse e spopolate, e ci interroga anche sul senso che vogliamo oggi attribuire alla cultura e alle sue modalità. Lo spirito con cui oggi si va in questi territori “marginali” rispetto a quelli della produttività, territori perennemente in via di sviluppo, in cui dovere a tutti i costi potenziare lo sviluppo, è una proiezione temporale esattamente opposta. In queste terre si va raramente, e quando ci si va “profondamente” è a volte per cercare risposte per affrontare il futuro diversamente. Affrontarlo, ancora, il futuro, cercando tra i sassi l’eco della pasoliniana “forza del passato”.

 

Questo è lo spirito con cui lo Sponzfest è andato in questi anni nelle terre irpine. Questa la scommessa della Capitale Europea della Cultura 2019.

Dallo stereotipo al canto

 

Settant’anni fa Ernesto de Martino aveva scelto la Lucania come terreno di analisi per diversi studi antropologici. Uno fra questi è quello consacrato al pianto rituale. Qui la Lucania si offre a lui come territorio in cui l’arretratezza diviene un elemento prezioso di conservazione di quegli elementi che gli permettono al meglio di proiettarsi in un tempo remoto, l’antichità, per carpirne meglio i misteri.

Durante il suo studio durato sei anni in una vasta area della Basilicata, de Martino ha osservato, raccolto e analizzato le pratiche legate al pianto rituale. L’analisi di questa pratica rituale nei termini di una cura di fronte alla crisi con una funzione riparatrice e reintegratrice, appare oggi di estrema attualità e fonte di grande ispirazione. Il pianto rituale era praticato infatti non solo per la morte ma per diverse situazioni di crisi sociali, come le partenze legate all’emigrazione e in generale per altri episodi dolorosi.

Il pianto rituale era diffuso in tutta la vasta area del Mediterraneo e oltre verso est, Romania, Russia. Ma grazie al saggio di de Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico, è la Lucania ad essere diventata simbolo di tale pratica. E non è un caso che le terre interne del nostro Sud coincidano con l’immagine di un eterno lamento di genti che non sanno risollevarsi dai loro mali, poiché il processo di legittimazione culturale non si è completamente compiuto.

Trenodía si propone di attingere a quella forza antica riattualizzando la funzione di “non morire con ciò che muore” (insita nel lamento rituale) per allargarla al concetto più vasto di morte culturale (abbandono, emigrazione, gestione delle risorse).